Quando si parla di iperglicemia si tende a fare riferimento a una condizione di diabete mellito. Benché questa patologia rappresenti una delle più diffuse al mondo, con tassi di incidenza sempre crescenti, è bene non dimenticarsi di tutte le condizioni che precedono il diabete e predispongono il soggetto a questa patologia, e che, per semplicità, accumuneremo sotto il nome di alterata tolleranza glucidica (tr. Impaired glucose tolerance, IGT). Si tratta di una condizione borderline che si instaura quando i livelli di glicemia a digiuno superano i 100 mg/dl, ma non si raggiungono i criteri diagnostici per la diagnosi di diabete (p.e. glicemia a digiuno > 126 mg/dl). In questo articolo analizzeremo le basi per un corretto approccio nutrizionale mirato a gestire e prevenire condizioni di iperglicemia.
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→ L’IGT (alterata tolleranza glucidica, o più comunemente iperglicemia) si associa spesso a una condizione di insulino-resistenza (IR), nella quale l’insulina non è in grado di esercitare correttamente la sua azione ipoglicemizzante, pertanto i livelli di glicemia e insulinemia tendono a rimanere elevati nel tempo, soprattutto dopo un pasto.
Se non opportunamente controllati, IGT e IR, nel corso degli anni, aumentano sensibilmente il rischio di sviluppare diabete.
Trattandosi di condizioni borderline, salvo specifiche eccezioni (p.e. IR severa diagnosticata mediante OGTT), non vi è indicazione per il trattamento farmacologico, e le modifiche dello stile di vita (in termini di corretta alimentazione e regolare esercizio fisico) rappresentano il primo step nella loro gestione.
Il primo must è, senza dubbio, evitare diete fai-da-te o improbabili consigli racimolati a destra e a manca, ma affidarsi a un Nutrizionista qualificato che sarà in grado di stabilire l’approccio nutrizionale più adeguato alla condizione.
Attraverso anamnesi patologica, valutazione di composizione corporea e dello stato nutrizionale, il Nutrizionista stabilisce, innanzitutto l’apporto calorico giornaliero ottimale, che sarà in grado di fornire il giusto carburante e, al contempo, aiuta a tenere sotto controllo le tue glicemie.
Particolare attenzione va posta alla ripartizione dei pasti: i classici “5 pasti al giorno” non sono una trovata pubblicitaria, ma una corretta indicazione e, se necessario, il numero può aumentare. Lo scopo è quello di evitare digiuni prolungati, che possono essere causa di quelle che vengono definite iperglicemie reattive o paradosse.
Dopo molte ore di digiuno, infatti, la glicemia tende fisiologicamente a diminuire per azione dell’insulina; quando i livelli scendono oltre una certa soglia, si innescano meccanismi biochimici che portano al rilascio di ormoni controregolatori (p.e. glucagone) che, a loro volta, determinano un ulteriore aumento della glicemia al fine di ristabilire l’omeostasi glicemica, ovvero una condizione di equilibrio (ricordiamo che l’organismo umano è concepito come una “macchina perfetta”, pertanto gli eccessi sono tanto dannosi quanto i difetti. In medio stat virtus!).
Gli spuntini di metà mattinata e metà pomeriggio (o anche notturno, qualora si fosse soliti cenare molto tempo prima di andare a letto) sono fondamentali, e vanno quotidianamente rispettati.
→ Carboidrati: sono la principale fonte di energia e, pertanto, dovranno essere assunti in quantità adeguate.
L’errata convinzione di “eliminare pane e pasta” in caso di iperglicemia/diabete può, infatti, peggiorarne la condizione determinando una riduzione della tollerabilità ai carboidrati.
Le diete con parziale o totale eliminazione dei carboidrati si configurano come protocolli medicalizzati e, pertanto, è necessario che siano seguite e monitorate da professionisti esperti.
In linea generale, va posta attenzione sia alla quantità che alla qualità dei carboidrati, preferendo sempre alimenti che contengano un indice glicemico (IG) medio-basso.
Per IG si intende la velocità con la quale un dato alimento determina l’incremento della glicemia dopo la sua assunzione. Alimenti ad alto IG determinano un rapido innalzamento dei livelli glicemici, al contrario quelli a basso IG determinano un aumento della glicemia di minore entità e rapidità.
Un concetto molto importante da ricordare è che dopo l’assunzione di alimenti ad alto IG, il rapido aumento dei livelli di glicemia ne determina un picco responsabile del rilascio di insulina che, a sua volta, porta a un altrettanto rapido declino dei livelli glicemici; tale riduzione è responsabile sia del rilascio di ormoni controregolatori (come spiegato sopra) che di un incremento del senso di fame (figura 1).
Il picco insulinemico causato dall’assunzione di alimenti ad alto IG, inoltre, è responsabile di un transitorio aumento dei livelli di serotonina (l’ormone del piacere), determinando un altrettanto momentaneo senso di benessere che, a sua volta, porta ad assuefazione, innescando un circolo vizioso che porta alla continua ricerca e assunzione di alimenti dolci (figura 2).
Tutta questa teoria si concretizza, nella pratica, con l’indicazione di preferire alimenti integrali, frutta, verdura, legumi ed evitare fonti di carboidrati raffinati (p.e. farine bianche), bevande zuccherate, dolciumi.
→ Proteine : sono comunemente definite “i mattoni dei nostri muscoli”.
Nell’ambito di una dieta bilanciata, le proteine svolgono il principale ruolo di permettere il mantenimento della massa muscolare (MM), soprattutto in caso di dieta mirata al dimagrimento.
È bene ricordare che, tra i vari fattori, un eccesso di massa grassa e una riduzione della MM sono entrambi responsabili di un’esacerbazione dell’IR; conservare una buona MM, dunque, ci aiuterà, indirettamente, a controllare le nostre glicemie.
In soggetti diabetici, infatti, le proteine contribuiscono alla normale azione dell’insulina. Le proteine, inoltre, non causano aumenti della glicemia e, attraverso specifici meccanismi ormonali, sono in grado di intervenire sul cosiddetto circuito fame-sazietà, aiutando a ridurre il senso di fame.
Il quantitativo proteico da assumere giornalmente, tuttavia, dev’essere opportunamente calcolato da un Nutrizionista qualificato sulla base del fabbisogno e dell’anamnesi patologica, dal momento che il percorso metabolico delle proteine coinvolge vari organi, quali fegato e reni, pertanto un loro eccesso potrebbe scompensare la loro normale funzione.
Nei soggetti diabetici, inoltre, bisogna porre particolare attenzione a una eventuale compromissione della funzionalità renale (condizione purtroppo frequente, in particolare in soggetti scompensati); in questo caso, l’apporto proteico giornaliero dovrà essere finemente controllato, così come la ripartizione nei pasti.
Anche per le proteine, occhio sia alla quantità che alla qualità. In linea generale, è bene prediligere fonti proteiche di alto valore biologico, ovvero che contengono tutti gli amminoacidi essenziali (fonti proteiche di origine animale). Attenzione, tuttavia, a non abusarne a causa dell’elevato contenuto di grassi saturi e colesterolo di alcune fonti alimentari.
→ Lipidi : se per carboidrati e proteine, abbiamo visto, il giusto compromesso tra qualità e quantità risulta vincente, per i lipidi diventa addirittura necessario.
I grassi della dieta non vanno banditi, ma consumati in maniera oculata. Ormai anche i non addetti ai lavori conoscono la differenza tra grassi saturi (SFA), monoinsaturi (MUFA), polinsaturi (PUFA) e trans, anche se a volte risulta complicato saper discernere gli alimenti che contengono gli uni o gli altri.
Erroneamente, inoltre, si pensa che la giusta attenzione al consumo di lipidi vada posta solo in caso di obesità, tralasciando il loro notevole impatto sul controllo glicemico. Gli SFA, infatti, sono responsabili di un peggioramento della sensibilità insulinica; al contrario MUFA e PUFA migliorano significativamente l’IR.
Andranno, quindi, fortemente limitati fonti lipidiche di origine animale (ricche, principalmente di SFA e grassi trans, a eccezione di alcuni tipi di pesce, ricchi di PUFA), prediligendo olio extravergine d’oliva, frutta secca o alcuni frutti esotici come l’avocado. Rimane indiscusso, tuttavia, l’invito a non consumarne dosi eccessive, dato l’elevato apporto calorico.
→ Fibre: sono tra i componenti più importanti di una dieta mirata al controllo dell’iperglicemia.
Chimicamente si tratta di carboidrati che, generalmente, presentano la caratteristica di non essere assimilati (data la mancanza, nell’uomo, di enzimi in grado di metabolizzarli); per tale motivo, durante i processi digestivi, procedono nel basso intestino (colon) dove vengono fermentati dalla flora batterica intestinale, con produzione di sostanze benefiche, prime fra tutte, acidi grassi a corta catena (SCFA).
Le fibre, inoltre, agiscono anche da agenti prebiotici, favorendo la crescita quasi esclusiva delle specie batteriche simbiotiche (che apportano benefici all’organismo umano, tra cui miglioramento dell’IR), tra quelle che popolano il nostro intestino.
In realtà, le fibre sono in grado di agire a vari livelli nel tratto gastrointestinale. A livello dello stomaco, infatti, data la loro caratteristica chimica di assorbire acqua, portano alla formazione di una soluzione gelatinosa che ostruisce parzialmente il piloro (lo sfintere che mette in comunicazione stomaco e duodeno), determinano un rallentamento dello svuotamento gastrico. Questo meccanismo è responsabile di una duplice azione benefica: da un lato, si protrae nel tempo il senso di sazietà, dall’altro si rallenta l’arrivo dei carboidrati nell’intestino, dove saranno metabolizzati e assorbiti, pertanto si eviterà il picco glicemico.
Salvo alcune eccezioni relative a disturbi gastrointestinali che necessitano di un moderato o ridotto apporto di fibre, queste devono rappresentare le principali componenti della nostra dieta. Tra le principali fonti di fibre: frutta, verdura, cereali integrali e legumi.
→ Polifenoli: sono la principale classe di composti biologicamente attivi, di cui sono particolarmente ricchi frutta e verdura.
La più importante caratteristica dei polifenoli è, senza dubbio, la loro capacità di contrastare lo stress ossidativo, condizione caratteristica nel soggetto diabetico ed esacerbata dall’iperglicemia protratta nel tempo.
Accanto all’azione antiossidante dei polifenoli, vanno tuttavia ricordate anche spiccate azioni antinfiammatoria e ipoglicemizzante, quest’ultima dovuta alla loro capacità di inibire l’azione di alcuni enzimi che metabolizzano i carboidrati e di stimolare il rilascio di insulina.
→ Acqua: è essenziale per la vita, e un suo inadeguato consumo può causare disidratazione (condizione caratteristica nel soggetto diabetico scompensato).
Una recente revisione della letteratura scientifica ha messo in luce il ruolo del regolare consumo di acqua nella gestione delle glicemie. In particolare, attraverso specifici meccanismi ormonali, uno stato di disidratazione sarebbe percepito dall’organismo come una condizione di pericolo o stress, con conseguente rilascio di specifici ormoni, quali il cortisolo che, tra le varie funzioni fisiologiche, determina aumento dei livelli di glicemia.
Bere acqua regolarmente, dunque, aiuterebbe a mantenere un ottimale stato di idratazione e contribuirebbe alla gestione delle glicemie.
Vediamo ora come impostare uno schema nutrizionale giornaliero. Ricordiamo che si tratta di informazioni generali e che andranno adattate a ogni singolo caso.
Facoltà di Farmacia | Università Federico II di Napoli
Una menzione e un grande ringraziamento vanno al team dell’Univeristà Federico II Dipartimento di Farmacia per questo approfondimento scientifico che ci aiuta a migliorare la divulgazione in tema di corretta alimentazione su queste pagine.
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